10 aprile 2009- da “MEDICO E BAMBINO”, rivista di formazione e di aggiornamento professionale del pediatra e del medico di medicina generale, vol. 28, n° 3, marzo 2009
I BAMBINI INVISIBILI
Un’esperienza brasiliana e uno sguardo al resto del mondo
dott.ssa Chiara Delben – vicepresidente associazione Arcoiris – Trento:
“Oi tia, ciao zia”.
Juliano mi saluta con l’appellativo con cui i bambini brasiliani chiamano qualsiasi adulto, a prescindere dai rapporti di parentela.
Ha 14 anni Juliano, un sorriso disarmante e lo sguardo intenso e triste di chi ha già visto e vissuto tutto, senza mai essere stato bambino. Era così anche quando l’ho conosciuto, 6 anni fa, duro e spavaldo, quasi uomo nonostante l’età, ma fragilissimo. E’ vissuto a lungo per strada, ha subito violenze di ogni tipo ed è stato a sua volta molto violento; lo è ancora, a volte.
Juliano è uno dei 100-150 milioni di bambini di strada del mondo. E’ impossibile farne una stima esatta perché, pur vivendo sotto gli occhi di tutti, sono per assurdo i bambini più invisibili, sfuggono alle statistiche, ai censimenti, alle istituzioni, sono esclusi dai dibattiti pubblici, dai programmi e dalle politiche statali1,2. Non c’è neanche un consenso internazionale circa la definizione di bambino di strada (o, alla portoghese, meninos de rua): quella più utilizzata, anche dall’Unicef, considera street children i minori per i quali la strada costituisce la casa o la principale fonte di sostentamento, senza adeguata protezione o sorveglianza3. In questo concetto sono compresi sia i bambini che lavorano sulla strada (street-working children) e la sera rientrano a casa o in qualche altra struttura protetta, sia i bambini che invece non hanno un luogo sicuro a cui fare ritorno (street-living children)2. Sempre l’Unicef ricorda, inoltre, che sono 640 milioni i bambini nel mondo che non hanno un’abitazione adeguata, 400 milioni non hanno accesso all’acqua potabile e 140 milioni sono drop out, fuori dal circuito scolastico1.
In America Latina i bambini di strada sono circa 40 milioni e almeno 10 vivono in Brasile3; se ne stimano circa 600.000 nella sola Baixada Fluminense, l’immensa periferia di Rio de Janeiro. L’età media di questi bambini si sta abbassando dai 10-12 anni di un decennio fa ai 4-5 anni di oggi4.
Perché la strada?
“Conosci tua madre, Ju?”
“Sì, zia, vive in quella baracca con 3-4 miei fratelli più piccoli, con un uomo diverso dall’ultima volta. Forse questo non la picchia, ma lei beve e picchia noi. Non ci voglio proprio tornare, a casa”.
Sono milioni i bambini di strada che non sono orfani, ma che fuggono (o sono cacciati) da situazioni familiari disumane sia a livello affettivo, che morale ed economico. I bambini non scelgono di vivere in strada, ma la povertà estrema, la disgregazione familiare e l’abbandono, la violenza e gli abusi sempre più spesso di natura sessuale sono il denominatore comune che li spinge verso la strada2; oppure, come Juliano, vi sono costretti dalla dipendenza dei genitori dall’alcool e dagli stupefacenti.
Si stima inoltre che nel mondo siano oltre 50 milioni i bambini ai quali, ogni anno, viene negato un diritto di nascita basilare: essere riconosciuti come cittadini1. Si tratta di milioni di bambini che, proprio perché senza un’identità ufficiale e senza diritti, rischiano maggiormente di diventare invisibili meninos de rua.
In aggiunta, in America Latina l’estrema povertà delle famiglie, determinata da politiche sociali inadeguate, dalla mancanza di riforme agrarie per la redistribuzione delle terre, nonché il rafforzamento dei grandi latifondi5 e le profonde diseguaglianze nella distribuzione del reddito2, hanno innescato l’esodo verso le maggiori aree urbane; le periferie delle metropoli sono cresciute rapidamente e in modo selvaggio5, senza alcuna pianificazione e prive dei servizi essenziali quali acqua potabile ed impianti fognari. In questi quartieri la povertà è in costante aumento e spinge i genitori ad abbandonare i figli sulle strade oppure a farli lavorare in strada, dove poi rimangono per sempre3. In strada i ragazzi cominciano a fare amicizia, a scoprire altri bambini con i loro stessi gravi problemi; si organizzano in gruppi e in gruppo lavorano, rubano e cercano un riparo per la notte. Da street-wolking children, a poco a poco essi si trasformano in bambini di strada, perdono ogni contatto con la famiglia e la famiglia, a sua volta, smette di cercarli6.
Come alternativa ad una vita di stenti, pertanto, la strada offre una speranza ai bambini: se da un lato, in famiglia, vi sono uno stress psicologico fortissimo e varie forme di abuso, dall’altro c’è la strada, senza controlli7, che rappresenta l’idea, errata, di libertà dai bisogni ed appare come l’unica alternativa alla disperazione3,6. La strada attrae, vivere in strada è un modo migliore di provvedere a se stessi; il bambino sente di avere migliori opportunità poiché la strada appare quasi accogliente e materna, offrendo le risorse materiali ed emozionali che la famiglia o la società continua a negargli5. L’attrazione della strada è data proprio dalla presenza di bande di coetanei che si conquistano una zona, una piazza, un quartiere. La banda diventa la famiglia, risponde, in apparenza, alla necessità di sicurezza e di protezione, nonostante abbia poi anch’essa le sue regole, le sue dinamiche, la sua violenza7; ci sono dei capi a cui ubbidire, invidie e vendette. Rispetto alla violenza subita in casa, però, quella della strada appare meno certa e forse più controllabile.
Come vivono i bambini di strada?
“Juliano, come facevi a procurarti da mangiare?”
“Oh, facile…bastava stare nei paraggi di qualche ristorante, gli avanzi ci sono sempre”.
Nelle metropoli e nelle cittadine brasiliane, attorno ai tavoli all’aperto dei ristoranti, dopo i branchi di cani randagi, arrivano loro, i meninos de rua, e chiedono l’elemosina oppure si accontentano di ciò che rimane nel piatto dei clienti.
“Nessuno ti ha mai offerto un lavoro, per toglierti dalla strada?”
“Non era lavoro, zia, era schiavitù e me ne sono andato. Per un periodo ho venduto chewing-gum in spiaggia, dalle 2 del pomeriggio alle 6 del mattino. Quando cadevo dal sonno mi scavavo una buca nella sabbia e riposavo coprendomi di giornali”.
Ci sono molti bambini, nel mondo, che lavorano in strada, spinti dalle famiglie gravemente indigenti. Secondo lo studio globale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nel 2002 erano 246 milioni in tutto il mondo i ragazzi dai 5 ai 17 anni costretti a lavorare; ben 8,4 milioni erano esposti alle forme peggiori di lavoro minorile quali schiavitù, arruolamento forzato in vista di conflitti armati, prostituzione, pornografia8. Per quanto riguarda il Brasile, secondo le indagini dell’Istituto di Geografia e Statistica (IBGE), nel 2006 in quel Paese lavoravano 5,1 milioni di bambini e adolescenti9. La settimana lavorativa, in media, è di 12 ore settimanali per i bambini brasiliani dai 5 ai 9 anni, mentre quella delle bambine tra i 10 e i 13 anni è di 22 ore settimanali9. Attualmente le maggiori preoccupazioni del governo brasiliano sono determinate dal lavoro domestico5, invisibile. Circa 500.000 bambine di età compresa tra 5 e 17 anni lavorano come domestiche in condizioni di semi-schiavitù, malnutrite, sottoposte ad orari massacranti con circa 48 ore di lavoro settimanali5. In alcuni casi non percepiscono neanche uno stipendio minimo perché i padroni ritengono sufficiente il vitto e l’alloggio che offrono alle ragazze.
I bambini che lavorano in strada sono però impiegati, in genere, per tagliare la canna da zucchero, raccogliere caffè o arance, vendere dolci, sorvegliare auto. Il mercato del lavoro è costantemente alla ricerca di mano d’opera a basso costo: i bambini lavorano per pochi soldi, sono più facilmente disciplinati e non sono organizzati nei sindacati o in qualche altra forma associativa che li protegga. In realtà i bambini di strada sono costretti a vivere di espedienti poiché lavorano solo saltuariamente: pertanto mendicano, rubano, spacciano al soldo dei trafficanti, frugano nelle immondizie per poi venderne il ricavato o per procurarsi da mangiare, cercano lattine e bottiglie, oppure si prostituiscono5. Alle volte rovistano tra i rifiuti di immense discariche da cui perfino gli animali si tengono lontani, tale è il fetore che emanano.
Le loro attività microcriminali rendono spesso i bambini bersaglio di azioni repressive, a volte spietate, condotte in nome dell’ordine pubblico e della difesa della proprietà.
Hai mai avuto fame, Juliano?”
“Sì zia, ma se sniffi colla la fame non la senti più, e neanche la tristezza, e neanche la paura”.
Ogni bambino di strada ha un sacchetto dal quale inala costantemente colla per stordirsi, per lenire i morsi della fame o del freddo, per passare i momenti difficili il meglio possibile. Le droghe più diffuse tra i meninos de rua sono diversi tipi di inalanti sintetici (con prevalenza della colla da calzolaio) che abbondano sul mercato, hanno un prezzo accessibile e non sono sotto il controllo dei trafficanti di droga perché il loro valore aggiunto non è remunerativo10. Non si tratta di droghe illegali: la vendita di colla è proibita, ma non ne è proibito il consumo10. Inoltre l’uso di queste droghe non genera segregazione e la colla si sniffa sotto gli occhi di tutti, negli spazi urbani più frequentati (ingresso dei supermercati, stazioni, centro città)10. Secondo un’indagine effettuata dal Programma Internazionale per il Controllo Droghe delle Nazioni Unite, tra i bambini che vivevano per strada in Brasile nel 1994, il 55% era tossicodipendente11.
“Non sniffi più?”
“ ….sì, qualche volta, quando mi sento perduto…”
Quali sono i pericoli della strada?
“Che cosa ti faceva paura, Ju?”
“Non ho paura di niente io! Per chi mi hai preso, eh?!” Poi Juliano ritorna per un attimo il ragazzino che l’anagrafe pretende che sia e ammette: “Avevamo paura della polizia e delle squadre di uomini violenti che venivano a cercarci. Ho visto alcuni amici picchiati a morte…”.
La violenza è l’elemento comune a tutti i bambini di strada; i pericoli e l’emarginazione della strada finiscono per riportali in situazioni di sopruso, simili a quelli dai quali sono fuggiti3. Come ricorda Amnesty International12, infatti, i meninos de rua sono particolarmente esposti a sfruttamento, violenze ed abusi di tutti i tipi, da quello di natura psicologica a quello fisico e sessuale.
La violenza psicologica è esercitata da chi li disprezza, li sfugge, li vive come criminali. La società, in genere, li vede come un pericolo e li abbandona anche alla violenza fisica: “Sono come dei topi o dei cani rabbiosi”. Un giornale brasiliano scriveva: “Volete mantenere pulita la città? Collaborate uccidendo un bambino di strada”6. Le forze dell’ordine sono responsabili di molti atti di violenza quali pestaggi, torture fisiche e psicologiche, abusi, estorsioni, arresti arbitrari e pretestuosi (ad esempio, per accattonaggio13); il rilascio avviene spesso dietro ricompense in denaro o in natura2.
Alle retate della polizia (spesso notturne, per evitare la presenza di scomodi testimoni) si aggiunge anche l’ipocrisia delle autorità che, se da un lato condannano tali soprusi, dall’altro invitano a “ripulire” le strade in concomitanza di grandi eventi nazionali od internazionali che richiamano l’interesse dei media13. Il bambino di strada è trattato come un essere sub-umano (pestaggi con manganelli, catene e scosse elettriche), indegno dei diritti umani fondamentali13.
In Brasile, in particolare, sono numerosi i casi di violenza esercitata da parte di alcuni corpi deviati della polizia, i cosiddetti squadroni della morte, pagati da imprenditori locali. Quasi 6.000 meninos de rua sono stati uccisi da questi gruppi tra il 1988 ed il 1991 secondo l’Americas Watch6; è del luglio 1993 il massacro di otto bambini di fronte alla Cattedrale Candalaria di Rio de Janeiro, uno dei casi più pubblicizzati dai media, anche se non tra i più feroci. Nel 2007 è stata sgominata una di queste bande a San Paolo, accusata di centinaia di delitti effettuati in 5 anni; tra gli arrestati ci sono degli imprenditori e dei commercianti che pagavano l’equivalente di 400-2000 euro per eliminare ladruncoli, spacciatori e meninos de rua5. Del gruppo facevano parte anche agenti in pensione o ancora in servizio che mettevano a disposizione le loro capacità professionali: alteravano la scena del delitto, occultavano cadaveri, rendevano difficoltose le indagini5. Attualmente continuano le segnalazioni di squadroni della morte attivi in altre città brasiliane12.
Tali prevaricazioni e brutalità cercano giustificazione nel fatto che, molto spesso, come già accennato, da oggetto e testimoni di violenza, i bambini che vivono in strada diventano soggetti di violenza2. Entrano nelle fila di gang, assaltano i turisti, commettono reati e ripropongono le angherie e le prevaricazioni di cui sono stati vittime2. Sono facile preda di malviventi che li utilizzano per commettere furti o spaccio di droga e, poco a poco, sono coinvolti in delitti più gravi3. Nel momento in cui si comincia a creare una certa dipendenza da gruppi di fuorilegge organizzati, i bambini non hanno altra scelta che continuare a praticare furti e altre attività delinquenziali, diventando l’obiettivo principale degli squadroni della morte3. Se tentano di abbandonare il gruppo sono ugualmente a rischio perché ricercati dai malviventi.
L’opinione pubblica li stigmatizza dunque come criminali, soggetti pericolosi che devono essere allontanati e non come individui a cui è negata l’infanzia.
Sulla strada i bambini sono anche esposti alle attenzioni dei pedofili, alla violenza sessuale e psicologica che esercitano, riuscendo ad ottenere quello che vogliono in cambio di quasi nulla. Sono documentati e sono oggetto di discussione politica, nonché di disegni di legge atti a tutelare i minori, molti viaggi all’estero di uomini europei insospettabili, a caccia di bambini14.
Infine, i meninos de rua diventano un supermarket d’organi per le organizzazioni criminali che li utilizzano, assieme ai bambini venduti dalle famiglie alle organizzazioni stesse, per farne degli inconsapevoli ed involontari donatori di organi15.
Qual è la situazione nel resto del mondo? Esistono bambini di strada fuori dall’America Latina?
Dagli inizi degli anni ’90 il fenomeno si è esteso alle realtà urbane di tutto il mondo, Europa e Stati Uniti compresi.
Per quanto riguarda l’Africa, la guerra civile ha reso orfani quasi 100.000 bambini in Ruanda e in Angola; nello Zambia, uno dei Paesi maggiormente colpiti dall’emergenza AIDS, si stima che i ragazzi di strada, resi orfani dalla malattia dei genitori, siano circa 300.0003 (secondo stime delle Nazioni Unite, alla fine del 1999 il numero di orfani da AIDS con meno di 15 anni era di 13 milioni, il 90% dei quali abitava in Africa16). Solo a Nairobi, Kenya, ci sono 130.000 ragazzi chockora, cioè, in swahili, quelli che si nutrono di rifiuti17. Nella maggior parte dei casi provengono dalle baraccopoli che circondano la città e convergono in una discarica a cielo aperto dove trovano cibo e riparo per la notte, avvolti in sacchi di plastica18. Anche in Africa, come in America Latina, l’urbanizzazione crescente ha tolto molti bambini africani da contesti relativamente protetti, dov’erano affidati ai membri anziani delle comunità rurali in assenza dei genitori, e li ha riversati sulle strade senza alcuna tutela3.
Si parla di circa 18 milioni di street children in tutto il continente asiatico, con 8.000 bambini di strada in Vietnam1, mentre a Dacca19, come a Calcutta, si stima che essi siano anche 200.000 (10 milioni in tutta l’India20). Molti di questi sono i cosiddetti wip children, cioè figli di prostitute, costretti ad allontanarsi dalla casa-postribolo se maschi o prematuramente avviate all’attività del bordello se femmine17.
E’ difficile definire il numero dei bambini di strada in Europa, vista l’eterogeneità storica ed economica degli Stati coinvolti21. Secondo stime Unicef, però, ci sono circa 1.700.000 bambini rom non registrati all’anagrafe, mentre da stime risalenti ai primi anni 2000 sul territorio europeo ci sarebbero dai 150 ai 250.000 bambini di strada21. Non sono però disponibili dati attuali poiché, come considerato precedentemente, si tratta di soggetti esclusi dall’interesse dei media e dell’opinione pubblica.
Nella sola città di Mosca nel 2002 c’erano oltre 60.000 bambini senza casa (oltre 1 milione in tutta la Federazione Russa)3; a Bucarest, nei primi anni ’90, su una popolazione di 2.500.000 abitanti, ce n’erano almeno 5.00014. Attualmente il numero è sceso a 1.500 e si è stabilizzato su questa cifra7. L’età media di questi ragazzi è di 12-13 anni. La comparsa dei bambini di strada nei Paesi dell’ Est europeo – fenomeno praticamente inesistente prima del 1989 – si spiega con il deterioramento delle condizioni di vita delle famiglie e con la crescente marginalizzazione economica e sociale di settori sempre più vasti della popolazione3. Nella maggior parte dei Paesi ex socialisti gli istituti di assistenza per l’infanzia sono così affollati, come riferito dall’Unicef, da essere costretti a rifiutare bambini senza casa per i quali, senza altro punto di riferimento familiare e sociale, l’unica possibilità rimane la vita di strada3.
I contesti urbani in cui vivono, però, sono molto diversi rispetto a quelli dei meninos de rua brasiliani, a partire dalle condizioni climatiche: basti pensare ai rigidi inverni dove avere un riparo diventa fondamentale per sopravvivere3. Per questo motivo i bambini di Bucarest, ad esempio, vivono nelle fogne della città, di notte spariscono nei tombini per riapparire il mattino successivo dopo essere sopravvissuti ai morsi dei topi14.
Gli street children, contrariamente a quanto si possa pensare, popolano anche le metropoli dei Paesi occidentali. Negli Stati Uniti, infatti, i ragazzi che vivevano in strada nel 2002 erano 1.300.000 ed erano aumentati del 50% dai primi anni novanta22. Secondo la National Runaway Switchbard (linea telefonica di emergenza per i ragazzi che abbandonano la propria casa) a Santa Fe, capitale del Nuovo Messico dove povertà ed emarginazione riguardano soprattutto la popolazione ispanica, indigena e nera, nel 2001 la maggior parte dei ragazzi di strada proveniva inaspettatamente dalla classe media, bianca, pochissimi avevano meno di 14 anni e il 35% di loro erano femmine23. Il fenomeno dei bambini di strada che vivono nelle città nordamericane non ha però interessato l’opinione pubblica mondiale anche perché, per i ragazzi statunitensi, spesso si parla di runaways, bambini che scappano di casa, suggerendo così l’idea che si tratti di ragazzi ribelli23. Secondo dati forniti dal governo USA, invece, l’85% dei bambini e dei ragazzi di strada statunitensi è stato vittima di abusi sessuali commessi all’interno della propria famiglia23. Anche i ragazzi di strada di New York, quindi, come quelli di Rio e di altre metropoli del mondo, fuggono da realtà familiari violentissime. A differenza, però, dei meninos de rua, i ragazzi statunitensi spesso hanno subito qualche forma di abuso e di esclusione anche dal sistema statale (istituti degradanti – circa 10.000 bambini sono in fuga dagli orfanotrofi22 -, assistenti sociali assenti o incompetenti).
Possiamo parlare di un fenomeno simile nel nostro Paese? Esistono bambini di strada in Italia?
Nelle aree urbane quali ad esempio Napoli, Reggio Calabria, Palermo, ma non solo, un discreto numero di ragazzi italiani passa molto tempo nelle strade, abbandonando la scuola e dedicandosi spesso ad attività illegali6. Quanti siano questi street-working children, però, ancora una volta non è dato sapere. Invece l’unico dato certo riguarda i centri di accoglienza per immigrati7; elaborando le cifre ricavate dai procedimenti penali in corso, alcuni ricercatori hanno dedotto che fino a tre anni fa le donne e i bambini stranieri entrati nel nostro Paese come schiavi sarebbero ben 54.82015. Nel 2007 i minori hanno rappresentato il 10,5% degli arrivi degli immigrati via mare12. Alcuni sono ricoverati in comunità dalle quali però scappano assai rapidamente perché pressati dalle famiglie che li utilizzano quale fonte di reddito24. E’ molto difficile, inoltre, risalire e bloccare i clan che li schiavizzano, come ha dichiarato Livia Pomodoro, Presidente del Tribunale dei Minori di Milano fino al 200724.
Non esistono altri dati ufficiali in merito, né statistiche7,15, nonostante l’impegno di molti operatori e volontari nelle zone più malfamate delle periferie italiane25. I piccoli mendicanti reclutati per chiedere la carità nelle grandi città del nostro Paese26, infatti, quelli che vediamo fermare gli automobilisti ai semafori, sono bambini invisibili.
Quali sono le prospettive di un bambino di strada?
“Riesci ancora a sognare, Juliano?”
“Vorrei imparare un mestiere per guadagnare dei soldi; vorrei potermi mantenere e mantenere dei figli. Mi piacerebbe che riuscissero a studiare, che non dovessero fare fatica a leggere come faccio io…sai zia, non si frequenta la scuola quando si vive per strada perché ci sono cose più urgenti da fare…e poi nessuno vuole un ragazzo di strada, un delinquente, tra i banchi”.
Molte organizzazioni non governative (ONG), laiche e religiose, di tutti i Paesi del mondo, si occupano da anni di questi ragazzi e oggi anche Juliano vive in un centro, in una casa di accoglienza per minori, a Itamarajù, nello stato brasiliano di Bahia. Frequenta la scuola e sta imparando a coltivare la terra per entrare regolarmente nel mondo del lavoro; non ha più fame, Juliano, e non deve cercare un riparo dove trascorrere la notte.
Ogni tanto però il richiamo della strada è più forte del benessere che gli viene offerto e scappa, da solo oppure organizzando un piccolo gruppo di fuggiaschi. Vivere al centro di accoglienza significa rispettare degli orari, delle regole e, come in tutte le comunità umane, la volontà altrui. Accettare tutto ciò è difficile per chi non è mai stato abituato a vivere in una famiglia, per chi non ha mai avuto dei riferimenti affettivi certi e stabili, per chi ha visto ridursi progressivamente le capacità intellettive poiché ha fatto uso di sostanze dannose.
Ma Juliano torna sempre. Sarebbe capace perfino di uccidere un uomo per rabbia, per futili motivi, ma quando cala la notte e ha vicino a sé qualcuno che si occupa di lui, mostra il suo volto fragile di bambino, desideroso solo di affetto e di protezione gratuiti.
E come lui, tutti i bambini hanno talmente sete di famiglia che cercano di ricostruirla anche sulla strada; è questo il punto fondamentale da cui partire per lavorare con i meninos de rua.
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